giovedì 29 agosto 2013

Spirito romantico 0:1 vs libero arbitrio

Ci ho pensato: uno spirito romanticamente fatalista non può andare d'accordo con l'idea dell'uomo faber vitae suae.
La mia posizione attuale è "equilibrista": non mi sento fatalista, mi piace però coltivare dentro di me la fiducia in una dimensione che trascenda il mio libero arbitrio.
Mettiamo ordine nei pensieri:
1. Sono responsabile di tutto quello che mi succede: questa è una lezione che ho interiorizzato. Non sempre è facile accettarlo, ma intuitivamente sento che è proprio così.
2. Il mondo funziona seconda una Legge, il Dharma, che non ho scritto io. Non ho deciso io che fosse così, eppure questa Legge permea tutta la mia esistenza, le vostre esistenze.
3. Quindi ben venga la fede nel libero arbitrio, contemperata però sempre dalla consapevolezza che non siamo i signori del mondo, Qualcuno ci precede per consapevolezza, immensità e amore.
Libertà personale allora non come sforzo titanico e con pretese di onnipotenza, ma come discesa dentro se stessi per fare un lavoro di pacificazione, purificazione, immissione di amore dentro di sé. Per poi agire in linea con la Legge del Dharma.
Libertà come adesione alla legge interiore.
Ossimori?
Continuando sulla linea di queste riflessioni, voglio dirvi una cosa. Questa parola, "Legge", vi spaventa?
Beh, aspettate a trarre conclusioni. A mio modesto avviso il primo passaggio per farsi amica quest'idea è uno e ve lo spiego subito.
Nel mio percorso si sta rivelando fondamentale un aspetto che molti ricercatori, nella fretta di migliorare il proprio comportamento e di compiacere uno standard e aspettative proprie o di altri, scavalcano a piè pari come fosse poco rilevante. A quel punto anche il percorso "spirituale" o di crescita personale -se vi suona meglio- si può rivelare un trabocchetto: indosso il ruolo di spiritualista, di ricercatore, l'ennesima trappola delle identificazioni in questo o quel ruolo. E' come se la disciplina (meditativa, comportamentale, qualunque essa sia) si costituisse come escamotage per non affrontare in silenzio, con se stessi, le domande intime che solo a tu per tu con noi stessi ci possiamo porre.
Della serie: non so chi sono, mi sembra rischioso pormi la domanda, intanto mi comporto come mi hanno detto è giusto fare e rimando a un domani il confronto con la mia verità. E intanto ci estraniamo ancora una volta da noi stessi.
Questo aspetto di fondo è l'amore verso se stessi, il perdono di se stessi, l'accettazione del proprio nucleo originario, l'accettazione dell'essere al mondo, l'innamoramento verso l'avventura del vivere qui e ora.
Amore per se stessi: vi fa paura? Vi sembra più facile amare altri?
Pensate che sia prima necessario comportarsi bene con gli altri per meritarsi amore?
Ma CHI si sta comportando bene con gli altri?
Che rapporto avete voi con voi stessi? Rispettate e amate la vita dentro di voi?
Piccoli pensieri come tracce del mio cammino.
Buona giornata!

lunedì 26 agosto 2013

Incontri del "destino"

Ho incontrato una persona ieri che mi ha detto delle parole. Le stesse che sto leggendo in un libro.
Vi capita mai?
Era una donna molto tranquilla, che ha parlato come chi ha attraversato con piena presenza le esperienze della vita. Era una donna che mostrava sincero humor, profondità e leggerezza.
Bene, mi sono detta. Molto, molto bene.

Si può essere una donna in questo modo: forza, grazia e humor.

Bene, molto molto bene.

Grazie Carmen!

mercoledì 21 agosto 2013

L'attrazione del buio e la scelta di cambiare.

Ho deciso di cambiare.

Per cambiare bisogna guardare quello che va cambiato. Inevitabilmente uno sguardo nel buio va gettato.

E qui in passato sorgeva sempre un problema: il magnetismo che i "problemi" esercitano su di me. Guardare nel fondo dell'anima è sempre stata un'avventura incredibilmente affascinante ai miei occhi. 
E' un po' come se Dante, ritrovandosi nella foresta oscura, si fosse sentito inesorabilmente attratto dalla foresta stessa, con i suoi suoni, odori e presenze senza nome. 
Qualcosa dentro di me mi spinge a credere che dentro il dolore più forte ci sia uno stretto passaggio che porta alla gioia più pura. Lo credo ancora, ma c'è un però: il dolore, il buio, l'abisso attraggono. Sono più forti di noi. Esplorarli da soli, dimenticando che il percorso continua, è pericolosissimo. E, in fondo, questa direzione di ricerca -se non è finalizzata e aperta ad Altro - si esaurisce in un movimento sterile, come scavare nella sabbia girando su se stessi.

Amavo visceralmente i quadri di Schiele. Egon Schiele. 

Attraverso il suo guardo sull'essere umano sentivo che il mio dolore acquisiva un senso. Era per lo meno vero e forse anche bello. Avevo 17 anni.

Vivevo dentro i quadri di Van Gogh.
Mi chiedevo: "Se Van Gogh non avesse sofferto così crudelmente, ci avrebbe restituito tanta bellezza?"

Il profondo è magnetico. 

Ora sto arrivando al mio nocciolo della questione: ogni vita è una storia diversa. Io non sono Schiele, né Van Gogh. Io ho il mio abisso, ho le mie vette, i miei paesaggi collinari e marini. Oceani, cumuli nembi della coscienza. 

E' l'avventura del viaggio ora ad attrarmi e la possibilità di veleggiare sopra i cosiddetti "problemi" per conoscere, conoscermi e innamorarmi sempre di più della vita.

Il profondo è vero. 
Il profondo è autentico. 
Questo lo rende interessante. 

La sofferenza è una conseguenza del voler cristallizzare le esperienze, del volerci identificare in una fase del percorso, del volerci definire per sempre, chiudendo alternative di sviluppo. A volte arriva, scrive un capitolo del nostro libro, aggiunge intensità e peso al nostro romanzo esistenziale, eppure in essa non sta il senso. 

Un po' di dolore lo accetto, come è bello sentirsi stanchi dopo aver camminato tutto il giorno nel mondo, tra gli altri e dentro di sé. Questo dolore ci parla spesso dei nostri limiti. Punto.

Ho deciso di cambiare. Verso dove

Sto facendo un lungo elenco di situazioni negative in cui non mi sono sentita bene. Le sto volgendo al positivo. Per me, per esempio, è importante esprimere la mia creatività anche in senso artistico e poter decidere in autonomia come gestire il mio tempo. Ho deciso che se questo ha senso per me, va rispettato.

Ho deciso di cambiare. Per essere davvero me stessa.

Ciao, alla prossima!







martedì 6 agosto 2013

Aspettarsi qualcosa dagli altri

Mi scontro ogni tanto con le mie aspettative riguardo al comportamento degli altri e a quelle di altri riguardo al mio.
Mi pare di poter dire con una certa precisione che esistono due atteggiamenti di fondo verso gli altri, atteggiamenti diametralmente opposti: tendenziale fiducia e tendenziale sfiducia. 
E' faticoso uscire dalla trappola soffocante della sfiducia: ogni piccola "sbavatura" - non conformità a una rigida aspettativa - viene interpretata come prova ("ha ha, ti ho beccato!") della inaffidabilità della persona.
Quando sono "vittima" di queste proiezioni di sfiducia innanzitutto cerco di rendermene conto. 
Quando ne sono il "carnefice" è più difficile, perché l'emozione è cocente e sembra "vera", mentre è il riflesso distorto di una errata interpretazione. 
Devo fare i conti con la frustrazione e la rabbia della persona che si sente "delusa" dal mio comportamento, con le sue recriminazioni e accuse.

Eppure non credo che la soluzione stia nel gratificare costantemente gli altri.

Nel suo libro "I quattro accordi" Don Miguel Ruiz elenca 4 nuovi accordi con cui sostituire vecchie credenze limitanti e condizionanti, tra questi mi interessa qui il secondo: 
"Non prendere nulla in modo personale", perché "Quando prendete le cose personalmente vi sentite offesi e la reazione è quella di difendere le vostre convinzioni, creando conflitti". 
E ancora "Non m'importa cosa pensate di me, perché non prendo in modo personale le vostre opinioni. Quando la gente dice: "Miguel, sei il migliore", non sta parlando di me. Lo stesso quando mi dicono: "Sei il peggiore". So che quando siete contenti mi direte che sono un angelo, ma se siete irritati direte; "Miguel, sei un essere disgustoso (...)."*

Così la mia sarebbe una strategia alquanto dannosa se dovessi comportarmi in modo tale da non deludere mai nessuno. Dovrei costantemente impegnarmi ad aderire alla visione del mondo di questo o quello. Visione che spesso è pesantemente condizionata da esperienze pregresse non elaborate. 

A mio parere la cosa migliore che possiamo fare è aderire alla nostra coscienza, radicando la nostra felicità nella coerenza tra essere e agire. Se a questo punto qualcuno si dovesse sentire ancora offeso, potremo cogliere la sua insofferenza verso il nostro comportamento come la proiezione dei suoi condizionamenti. E, se ce la sentiamo, quando l'emozione si è raffreddata, dargli una mano a superare il problema. 
Lo stesso sto cercando di fare con me stessa: se mi arrabbio mi prendo un momento di pausa, mi sdraio e mi ascolto. Spesso dietro la rabbia c'è molto altro, è solo un'estrema difesa. Da cosa? Chiedendoselo senza parole, in ascolto, la rigidità della prima reazione scompare e si comincia a entrare in vero rapporto con se stessi. 

La mia intenzione è camminare attraverso la vita con autenticità, leale verso la mia natura.

Piacere costantemente agli altri è faticoso e inibente. Pretendere che gli altri ci gratifichino costantemente lo è altrettanto. 

* Don Miguel Ruiz, "I quattro accordi" (tit. originale "The four agreements"), Ed. Il Punto d'Incontro, 2001, Vicenza