martedì 6 agosto 2013

Aspettarsi qualcosa dagli altri

Mi scontro ogni tanto con le mie aspettative riguardo al comportamento degli altri e a quelle di altri riguardo al mio.
Mi pare di poter dire con una certa precisione che esistono due atteggiamenti di fondo verso gli altri, atteggiamenti diametralmente opposti: tendenziale fiducia e tendenziale sfiducia. 
E' faticoso uscire dalla trappola soffocante della sfiducia: ogni piccola "sbavatura" - non conformità a una rigida aspettativa - viene interpretata come prova ("ha ha, ti ho beccato!") della inaffidabilità della persona.
Quando sono "vittima" di queste proiezioni di sfiducia innanzitutto cerco di rendermene conto. 
Quando ne sono il "carnefice" è più difficile, perché l'emozione è cocente e sembra "vera", mentre è il riflesso distorto di una errata interpretazione. 
Devo fare i conti con la frustrazione e la rabbia della persona che si sente "delusa" dal mio comportamento, con le sue recriminazioni e accuse.

Eppure non credo che la soluzione stia nel gratificare costantemente gli altri.

Nel suo libro "I quattro accordi" Don Miguel Ruiz elenca 4 nuovi accordi con cui sostituire vecchie credenze limitanti e condizionanti, tra questi mi interessa qui il secondo: 
"Non prendere nulla in modo personale", perché "Quando prendete le cose personalmente vi sentite offesi e la reazione è quella di difendere le vostre convinzioni, creando conflitti". 
E ancora "Non m'importa cosa pensate di me, perché non prendo in modo personale le vostre opinioni. Quando la gente dice: "Miguel, sei il migliore", non sta parlando di me. Lo stesso quando mi dicono: "Sei il peggiore". So che quando siete contenti mi direte che sono un angelo, ma se siete irritati direte; "Miguel, sei un essere disgustoso (...)."*

Così la mia sarebbe una strategia alquanto dannosa se dovessi comportarmi in modo tale da non deludere mai nessuno. Dovrei costantemente impegnarmi ad aderire alla visione del mondo di questo o quello. Visione che spesso è pesantemente condizionata da esperienze pregresse non elaborate. 

A mio parere la cosa migliore che possiamo fare è aderire alla nostra coscienza, radicando la nostra felicità nella coerenza tra essere e agire. Se a questo punto qualcuno si dovesse sentire ancora offeso, potremo cogliere la sua insofferenza verso il nostro comportamento come la proiezione dei suoi condizionamenti. E, se ce la sentiamo, quando l'emozione si è raffreddata, dargli una mano a superare il problema. 
Lo stesso sto cercando di fare con me stessa: se mi arrabbio mi prendo un momento di pausa, mi sdraio e mi ascolto. Spesso dietro la rabbia c'è molto altro, è solo un'estrema difesa. Da cosa? Chiedendoselo senza parole, in ascolto, la rigidità della prima reazione scompare e si comincia a entrare in vero rapporto con se stessi. 

La mia intenzione è camminare attraverso la vita con autenticità, leale verso la mia natura.

Piacere costantemente agli altri è faticoso e inibente. Pretendere che gli altri ci gratifichino costantemente lo è altrettanto. 

* Don Miguel Ruiz, "I quattro accordi" (tit. originale "The four agreements"), Ed. Il Punto d'Incontro, 2001, Vicenza

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