mercoledì 31 luglio 2013

Essere a contatto con il dolore tutti i giorni

Se c'è una cosa che mi riesce a destabilizzare è la mancanza di empatia del personale sanitario.
Oltretutto lo sperimento sempre nelle situazioni di maggiore fragilità, come è ovvio.

Non parlo per tutti, nessuno si senta offeso, ma vorrei fare comunque una riflessione.



Il contatto quotidiano con il dolore crea vere e proprie deformità comportamentali e lessicali:
"E' arrivato un arresto" significa "Hanno portato un signore con un arresto cardiaco"
"Sono riuscita a liberarmi grazie a questo dispnea con dolore toracico" : "Fortuna (!) che hanno chiamato il 118 per questa persona che ha difficoltà a respirare e dolori al torace perché a stare tutto il tempo in ospedale mi stavo veramente stufando"

E tante altre piccole e grandi assurdità di fronte alle quali non so mai come comportarmi: farlo notare con il rischio che i rapporti si incrinino a danno del paziente?
Stare zitta con il rischio che il paziente abbia a soffrire di questi modi sbrigativi?

Io non giudico la natura e l'intenzione di queste persone. Fanno un lavoro esposto alla sofferenza, per rimanere aperti e disponibili ad accoglierla ogni giorno è necessario fare un grande lavoro su di se e molti, credo, non hanno gli strumenti per farlo.

Però qualcuno glieli potrebbe dare, no?
Corsi obbligatori di intelligenza emotiva per persone a contatto con il dolore altrui.


Mai come in quei momenti abbiamo bisogno di orecchie che sanno ascoltare e occhi buoni, attenti. La competenza tecnica è importante, ma da sola non può bastare.

Il paziente non può diventare un oggetto da manipolare secondo procedure spersonalizzanti.


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