venerdì 11 ottobre 2013

Assecondare o domare la propria natura?

Ci sono aspetti della mia personalità che molti non apprezzano, altri invece incontrano il favore degli altri.
Ma non sono sicura che tutti quelli della prima categoria siano negativi e positivi i secondi.
Vi siete mai chiesti se questo criterio, chiamiamola "risposta sociale", debba essere così decisivo?
Ci sono molte "buone maniere" diffuse più per paura che per convinzione, per esempio non sta bene rifiutare un regalo, bisogna evitare di scaldarsi quando si discute, sorridere se qualcuno ci sorride, così come ci sono alcuni stereotipi su cosa renda accettabile o meno una personalità.
Ma è come se una parte di noi accettando questa mediocrità lentamente morisse. Perdiamo quella bussola interna che ci indica la nostra verità.
Oggi per esempio ho assistito a una piccola scena in un negozio. C'era questa ragazza a cui la madre voleva comprare un paio di scarpe. La ragazza era di una gentilezza talmente esagerata da farmi pensare che fosse molto a disagio in quella situazione e avesse accettato per accontentare la madre.
Ho conosciuto anche adolescenti esasperatamente conflittuali e pronte a vomitare addosso al primo malcapitato tutta la loro collera e frustrazione.
Ma: e se fosse possibile consolidare in se l'idea che ciò che sentiamo e pensiamo abbia la dignità di essere espresso? Se la ragazza collerica e quella gentilissima potessero dire: grazie, capisco tu mi voglia fare un regalo, ma vedo che qui non c'è niente per me e preferirei fare altro? Dico così a titolo di esempio.
Sembrano piccole cose, ma spesso accade che queste piccole mancanze di autenticità si rafforzino come modelli di comportamento. La conseguenza più devastante è quella di non saper più riconoscere ciò che noi in prima persona realmente desideriamo anche nelle scelte più decisive della nostra vita.
Forse poi non a tutti farà piacere sentire la nostra verità, ma almeno non avremo mancato di essere leali verso noi stessi e di nutrire quel nostro centro senza il quale gli eventi perdono di significato e cominciano ad accumularsi alla rinfusa, un po' come i panni da lavare.
Buonanotte

3 commenti:

  1. Il teatro è una forma molto antica di comunicazione, quest'arte possiede una storia di più di 2500 anni, è più vecchia della Bibbia ed appartiene all'uomo proprio nella stessa misura in cui l'uomo stesso l'ha creata. Ma che cos'è il teatro? L'arte di apparie quanto non si è, l'arte di simulare e interpretrare delle realtà fittizie, il cuore di quella recitazione non è però nella tecnica o nel personaggio, ma nella consapevoelzza di non essere quel personaggio e quella situazione lì.

    Il mondo è di fatto un teatro, il più grande e perfetto che sia mai stato concepito e noi, ne siamo gli attori. La questione di fondo è quanto crediamo di essere partecipanti veri e quanto invece, ci rendiamo conto che la messa in scena è appunto un fondale di cartone.

    Freddy Mercury in quell'atto finale della sua vita, che magistralmente ha saputo trasfondere in musica scrive:
    "Spazi deserti, per cosa viviamo?
    Luoghi abbandonati, forse noi conosciamo già la partitura
    Avanti e ancora avanti, qualcuno sa
    cosa stiamo cercando..." The show must go on

    Il percorso di "libertà interiore" passa da vaie forme e stati, tra queste la battaglia per essere sè stessi di fronte a tutto e a tutti: è l'attore che urla dal palco agli spettatori "che lui è solo un attore!".
    Ma agli spettatori non interessa, loro sono lì per partecipare e vivere il gioco delle parti. I più grandi attori infatti sono quelli che si rendono consapevoli che l'unico vero centro, l'univa vera identità è quella di non essere legato a niente ma di sapere interpretare tutto.

    Imparare a liberarsi degli schemi di comportamento ci emancipa dagli altri, ma non di certo ancora da sè stessi.

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  2. L'autenticità delle proprie manifestazioni... Tema sconfinato ed insondabile, secondo me. Anche l'allucinato grida al mondo la propria verità, anche il bambino in fasce, chiunque, relativamente alla consapevolezza che ha di sé in quel momento ed alla propria lucidità, chiunque è in grado di affermare la propria volontà precisa e forte. Chi non lo fa è chi vuole compiacere il genitore, la moglie, il prete, il professorone! Com-piacere gli altri per un proprio autoriconoscimento in un ruolo? Succede spessissimo, ogni volta che ci relazioniamo agli altri ne corriamo almeno il "rischio". Ma se riconosciamo il posto che ha nella nostra vita la nostra anima, se smascheriamo i condizionamenti, gli impostori, se cerchiamo di essere autentici e portatori di etica universale, chi ci potrà mai giudicare come "quello che non ci ha nemmeno provato"?
    Viceversa, se ignoriamo noi stessi nella nostra molteplice natura fisico-spirituale-emotiva, se pensiamo di non meritare nulla, se cediamo ai condizionamenti psicologici, se reiteriamo gli stessi errori tutta la vita, se non abbiamo il coraggio di rischiare di provare a VIVERE, allora che senso possiamo trovare nella nostra bella ricerca? E' ora che si sveglino le coscienze per far sì che diventiamo veri protagonisti delle scelte più decisive della nostra vita.

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  3. Interessante quando scrivi "chi ci potrà giudicare"? Fare il possibile per essere autentici - che comprende anche essere consapevoli che i molti ruoli che indossiamo sono per l'appunto ruoli e quindi non ci definiscono, non ci condannano - fare insomma del nostro meglio è forse l'unico modo che abbiamo per affrontare con coraggio quel giudizio.

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